Fig.1: Anna Onesti nel suo studio a Rocca di Papa (RM). Foto Adele Cammarata

In dialogo con Anna Onesti: arazzi, aquiloni, lanterne e libri d’artista, la carta si fa materia viva in movimento intorno alla ricerca del meraviglioso.
di Marika Beccaloni
Sembra di entrare in un luogo sospeso, uno spazio senza limiti fisici, colorato e luminoso dove ogni cosa, opera o esperimento su carta, strumento di lavoro o libro, sta placida e si mostra nel suo aspetto più autentico. Così mi appare lo studio di Anna Onesti, appena illuminato da una calda luce arancione, immerso nel lirico paesaggio dei Colli Albani (fig. 1). “Ho sempre avuto l’ispirazione di tipo naturalistico. Le piante e i fiori li ho sempre osservati, forse perché sono nata in un posto come questo”, con queste parole Anna mi accompagna subito al cuore della sua ricerca artistica che quotidianamente si confronta, anche nel suo approccio più tecnico, con le fibre della carta e con cortecce, radici, bacche, fiori da lei trattati attraverso elaborati processi.
Ascolto con vivo interesse il racconto di Anna Onesti, che si apre a me raccontandomi in sintesi, ma con coinvolgente entusiasmo, i tempi della sua formazione artistica divisi tra le Accademie di belle Arti di Roma, Urbino e Torino, anni cruciali e segnati dagli insegnamenti di grandi nomi del panorama dell’arte italiana.[1]  Incuriosita, la interrompo per chiederle come sia nata la sua ricerca sul colore naturale e sulla carta artigianale d’Oriente in un periodo (siamo negli anni Settanta e Ottanta) in cui gli artisti, per esprimersi, si servono perlopiù di materiali plastici, gomme, vinilici e lacche. Anna mi risponde che in verità il percorso di ricerca che la conduce all’estrazione dei colori dalle essenze vegetali lo avvia negli anni Novanta, una volta approdata in Giappone. Unico testimone degli anni torinesi e di una breve affinità col colore sintetico è una fotografia che ritrae due stendardi (fig. 2) presentati in occasione della prima mostra collettiva a cui prende parte presso il Mulino Feyles[2] e realizzati impiegando pigmenti tossici che era solita addensare con la gomma arabica. Era il 1983 “ma avevo già un mondo mio, un mondo molto preciso”, afferma Anna. Ed è proprio così, non passa inosservato ai miei occhi come il blu profondo e la struttura viva e pulsante nello spazio degli stendardi abbiano anticipato gli spazi infiniti, i cieli e i mari evocati dagli aquiloni e dagli arazzi prodotti negli anni duemila.
Tornata a Roma e iniziata la professione di restauratrice presso l’istituto Centrale per la Grafica (ICG), Anna Onesti si dedica alla sperimentazione della tempera all’uovo su carta da spolvero, approfondendo la tecnica insieme a Roberto Pace, artista già suo compagno di studi in Accademia. L’abbandono dei colori prodotti industrialmente la conduce a poco a poco ad approfondire tecniche desuete eppure dense di fascino. I modelli da cui trarre ispirazione sono molteplici, è indubbiamente attratta dalle forme sinuose dell’Arte Nuova, ma gli affreschi del Rinascimento romano con cui Anna dialoga pressoché quotidianamente, avendo base presso gli uffici dell’ICG a Villa Farnesina in via della Lungara, lasciano un segno profondo. Mi confida di aver vissuto allora quello che definisce un “vero turbamento”. In quel periodo, i cicli pittorici della villa Farnesina forniscono all’artista un repertorio visivo che ella annota quotidianamente, sovrapponendovi immagini dal sapore fiabesco e orientale[3]. Ecco allora che la carta da spolvero diviene supporto prediletto, i colori industriali sono abbandonati per un recupero del colore realizzato con perizia artigiana, come in antico, esattamente come facevano gli apprendisti impiegati come coloristi nelle affollate botteghe d’arte del Cinquecento. Resta, degli anni in Accademia e del corso di scenografia con Toti Scialoja, la predilezione per i grandi formati. Le grandi proporzioni confermano un tratto dominante nella produzione dell’artista: la ricerca di una costante appropriazione dello spazio, anche attraverso il movimento libero delle sue opere-istallazioni, capaci di alterare il rapporto percettivo che lo spettatore ha con il luogo che le accoglie (fig. 3).
Il passaggio dalla carta da spolvero alla carta di gelso, come nuovo ed esclusivo supporto per la sua pratica artistica, Anna lo colloca nel 1994. Fondamentale si rivela un soggiorno in Giappone: “arrivo in Giappone già nel 1994, lavoravo come restauratrice per l’Istituto Centrale della Grafica, e partecipai ad un corso di tre mesi per studiare i kakemono (rotoli appesi) e apprendere le tecniche del loro restauro. Questa è stata una vera fortuna”. La scoperta della carta giapponese in fibre di gelso (kozo) inizia da qui per Anna Onesti. Sempre in occasione del Japanese Paper Conservation Course, in viaggio tra Tokyo, Kyoto, Nara e Yoshino, Anna ha occasione di scoprire l’utilizzo di colori di origine vegetale: “sempre in Giappone, la prima volta, ho scoperto l’uso delle bacche di ontano che si impiegano per estrarre la tintura con cui tingere le carte degli strati più profondi dei rotoli giapponesi. Da qui non sono più tornata indietro”. L’affascinante mondo della carta giapponese e delle tecniche per trattarla entra nella vita di Anna Onesti e l’accompagnerà in ogni successiva fase di ricerca e personale espressione artistica. ​​​​​​​​​​​​​​

Fig.2: Anna Onesti, Dantis Amor, tempera e doratura su tela medioevale, 2 stendardi ognuno cm 160X160, mostra Triangolare- Carboni, Corona, Onesti, galleria L'Uovo di struzzo- Studio Gianni Caruso, Mulino Feyles, Torino (1983).
Foto: Enzo Obiso

Fig.3: Anna Onesti, Grande Rosso, tintura, gouache e inchiostro sumi su carta giapponese washi, cm 160x360, mostra Accordi di Luce-Oriente d’Occidente, ex Museo Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci, Roma (2001).
Foto: Fabio Massimo Fioravanti
Carta di gelso e indigo
Ma Anna Onesti non si è limitata ad utilizzare la carta di gelso come supporto: l’artista ha scelto, avvicinandosi a questa materia eccezionalmente duttile e anche misteriosa, di promuovere un dialogo tra due civiltà cercando di “creare un ponte tra tradizioni artistiche diverse”[4]. L’artista ha nel tempo tracciato questo contatto tra due mondi in modo personale, ricostruendo la storia della carta in Oriente (con un focus particolare sul Giappone e la Corea) e accompagnando alla pratica artistica l’attività di studio, ricerca e indagine approfondita del conservatore e restauratore. Anna ha infatti studiato i processi di produzione artigianali della carta e indagato la conoscenza delle sue potenzialità estetiche praticando le tecniche di tintura e marmorizzazione. Proprio in virtù di questo approccio immersivo e profondo nell’universo della carta washi e della hanji Anna è stata chiamata a raccontare e a testimoniare (anche in qualità di divulgatrice) l’esito della sua ricerca, nonché ad esporre accanto a grandi artisti giapponesi che, come lei, hanno individuato nella carta washi il medium esclusivo della loro espressione[5].
“Nel mio procedere utilizzo anche altri metodi che comportano l’impiego di procedimenti indiretti e dove entrano in campo suggestioni e modalità derivate dalle pratiche dell’automatismo surrealista. Tecniche come il monotipo, l’impronta, il ricalco, il frottage e il collage che mi permettono di reiterare scritture e forme. Questi procedimenti, come quelli dei pattern ottenuti grazie ai procedimenti tintori, donano alle opere un ritmo fatto di assonanze, rimandi, echi.”[6] I procedimenti tintori a cui Anna fa riferimento sono quelli derivati dalle tecniche tradizionali giapponesi di tintura e decorazione delle stoffe: tra le tecniche sottoposte a personali varianti c’è quella del Itajimezome, che prevede la piegatura multipla del foglio e la sua tintura per immersione parziale delle pieghe ottenute (l’immersione è regolata e modulata dalla mano dell’artista e dalla sosta nel bagno di colore) (fig.4)[7]. Altri procedimenti adottati sono il Katazome (che prevede la tintura della carta per mezzo della tecnica della riserva attraverso maschere intagliate a mano) e lo Shiborizome (anche questo un metodo tintorio per risparmio che si avvale di cuciture e legature che impediscono al colore di penetrare nelle fibre della carta proprio dove si è imbastito un ricamo per mezzo del filo). Bastano questi pochi cenni per capire quanto sia importante il processo artistico-artigianale nella pratica di Anna Onesti, quanto conti la gestualità lenta e ragionata sostenuta dalla conoscenza pratica delle tecniche prescelte.
Tra le istallazioni che meglio consentono di apprezzare e comprendere la stratificazione delle tecniche padroneggiate dall’artista spicca Racconto del mare blu. Questo è il titolo di una mostra personale dell’artista in cui si trovarono riunite opere, di grandi dimensioni, su carta giapponese tinta con il blu dell’Indigofera tinctoria e del guado. Su queste superfici, come texturizzate dai pigmenti naturali, Anna ha sovrapposto forme fluttuanti che ricordano le sagome di foglie, petali giganti, rami e oggetti naturali tanto misteriosi perché impossibili da identificare ad una prima osservazione (fig. 5). A queste tracce si sommano sovrascritture eseguite a gouache e sovrapposizioni per mezzo delle tecniche indirette; sono segni che sfuggono ad un’esatta decifrazione e appartengono alla pratica dell’automatismo, già dichiarata tra gli interessi giovanili dell’artista e svelata casualmente ai miei occhi dal libro Nadja di Andrè Breton che scorgo nella libreria mentre Anna mi mostra i cataloghi di cui è stata co-autrice negli anni in qualità di restauratore conservatore presso l’ICG[8].​​​​​​​​​​​​​​

Fig.5: Anna Onesti, Il mare verticale, tintura guado e indaco, gouache e collage su carte giapponesi washi montate su pattina di lino e poi su telaio ligneo, ogni opera, cm 120X90, mostra Racconto del mare blu, TraleVolte, Roma (2015)
 Foto: Fabio Massimo Fioravanti

Nuvole di carta
L’immaginazione visiva dello spettatore è sempre chiamata al gioco dalle opere di Anna Onesti; i suoi arazzi, gli stendardi, le lanterne e i libri d’artista possiedono un forte potere attrattivo che non si limita a carpire l’attenzione dell’osservatore per stabilire un dialogo che si ferma al livello contemplativo: le opere di Anna Onesti richiedono una partecipazione sinestetica. A tal proposito cito come esempio gli aquiloni che Anna Onesti ha progettato e realizzato dal 2005. L’aquilone è un oggetto semplice e a dispetto della sua architettura scarna e povera possiede un potere quasi magico capace di rivelare un rapporto spettacolare tra uomo, natura e cosmo. Anna Onesti questo lo chiarisce quando afferma che gli aquiloni sono tra le sue opere quelle più libere e capaci di empatizzare con la natura grazie al volo che in verità lei chiama danza.[9] A partire dal 2009 in poi gli aquiloni vengono esposti in diverse occasioni, in questa sede ci interessa ricordare la mostra Un mondo fluttuante. Opere su carta di Anna Onesti, che ebbe luogo nelle sale della Casina delle Civette presso i Musei di Villa Torlonia.[10] Anna Onesti, chiamata ad interagire con gli spazi eclettici e mutevoli della Casina, ha realizzato diversi arazzi e aquiloni che replicano senza arrangiamenti le forme originali degli aquiloni giapponesi e coreani. Contestualmente alla mostra Anna Onesti si fa promotrice e coordinatrice di una performance dal titolo Nuvole di carta, durante la quale i suoi aquiloni vengono fatti volare dal gruppo Greko kite Roma. Un evento performativo perfettamente ambientato nel grande parco urbano e che avrebbe incontrato il favore degli architetti paesaggisti che progettarono gli spazi verdi della villa tra Ottocento e Novecento, giacché sono numerose le aree del vasto giardino destinate al gioco e allo spettacolo, come numerose sono le citazioni provenienti dai paesi d’Oriente e dalla dimensione fiabesca (fig. 6). Le nuvole di carta di Anna Onesti possiedono intrinsecamente proprietà universali: esse possono vivere ovunque, non necessitano di un sito specifico, a loro basta l’infinito del cielo.
Non ho visto Anna Onesti al lavoro, non ho ancora avuto occasione di partecipare alle fasi di estrazione del colore o ai processi di piegatura della carta e alla relativa tintura, ma ho potuto percepire quanta intima ritualità è presente nella sua pratica artistica. Il dialogo personale con la carta e il colore estratto dalla natura che Anna Onesti ha tessuto nel tempo si basa su un codice emotivo; l’artista agisce intervenendo con una manipolazione minima, attenta e misurata perché rispettosa delle caratteristiche organiche degli elementi scelti e perché intenzionata ad esaltare le peculiarità estetiche e funzionali di entrambi. La ricerca del meraviglioso è affidata anche all’imprevisto, come fosse in parte già scritta nelle fibre vergini della carta la strada da percorrere. Si stabilisce una tacita e ignota collaborazione tra l’artista e il supporto che è materia viva in movimento: la carta, imbevuta di pigmento, assorbe il colore generando segni, macchie e tracce che talvolta danno vita ad un racconto esclusivamente cromatico e talaltra diviene spazio proiettato all’infinito nel quale si muovono scritture e sagome misteriose tutte da indagare (fig. 7). ​​​​​​​

Fig.4: Anna Onesti, Lanterne, tinture naturali su carta giapponese washi, stecche di bambù e fili di cotone, ognuna cm 26x26x37,
fili cm 200, mostra Di tre Colori.
150 lanterne per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, Istituto Nazionale per la Grafica, Roma, Istituti Italiani di Cultura di Melbourne e Sydney,  Ciputra Artpreneur Center, Jakarta (2011).
Foto: Fabio Massimo Fioravanti

Fig.6: Anna Onesti e Virginia Lorenzetti, L’aquilone Civetta, aquilone a losanga, tintura con fiori di castagno, gouache e inchiostro sumi su carta giapponese washi, stecche di bambù e fili di cotone, cm 125X115, mostra Un mondo Fluttuante. Opere su carta di Anna Onesti, Casina delle Civette, Musei di Villa Torlonia, Roma (2020).
Foto: Greko Kite

[1] Anna Onesti è nata nel 1956 a Rocca di Papa (Roma) e ha studiato presso le Accademie delle Belle Arti di Roma, Urbino e Torino, si diploma nel 1978 in Scenografia con Toti Scialoja e in Decorazione con Francesco Casorati nel 1984. Lungo il suo percorso formativo ha incontrato altri esimi maestri quali Rodolfo Aricò, Alberto Boatto, Giovanna dalla Chiesa, Jole de Sanna, Gino Gorza, Pino Mantovani. La prima mostra a cui prende parte è del 1983, Triangolare presso L’Uovo di struzzo, studio Gianni Caruso, Mulino Feyles, Torino; è invece dell’anno seguente la prima personale nell’ambito della rassegna “Arti Visive Proposte”, presso l’unione Culturale F. Antonicelli, a cura di Floriana Piquet. Torna nella sua città nel 1985 dove resta occupandosi di restauro di opere su carta fino al 2022 ricoprendo il ruolo di restauratore conservatore presso l’Istituto Centrale per la Grafica (allora Istituto Nazionale per la Grafica). Anna Onesti, dal 1983 ad oggi, ha esposto in numerose mostre personali e collettive sia in Italia che all’estero; questo articolo intende raccontare l’artista posando lo sguardo su alcuni episodi espositivi.
[2] Gli stendardi presentati presso il Mulino Feyles traggono ispirazione dall’opera Dantis Amor di Dante Gabriel Rossetti, datata al 1860 e presente nella collezione della Tate di Londra. I pigmenti impiegati per quest’opera provenivano da una fabbrica di colori abbandonata e in stato di rovina situata nel Lungo Dora Savona di Torino, lì molti giovani artisti si rifornivano liberamente; questa pratica e il luogo nello specifico furono all’origine del movimento torinese della Mazz-Art.
[3] Qui prosegue l’intesa di Anna Onesti con il blu, colore sempre presente nella sua produzione. Il colore dei cieli e dei mari, il colore degli aquiloni e delle lanterne, quel blu degli abissi emotivi che Anna ha assorbito e fatto suo osservando l’oroscopo di Agostino Chigi e il blu egizio, colore raro, che Raffaello Sanzio sceglie di adottare per la Galatea.
[4] Anna Onesti, Nuvole di carta. Materia, diffusione e utilizzo della carta giapponese, in Bi no michi. La Via della Bellezza.
Esplorazioni nella cultura giapponese per i 150 anni delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone, Quaderni del Polo Museale del Veneto 1, a cura di Marta Boscolo Marchi e Silvia Vesco, Venezia 2018, p. 139.
[5] La mostra, organizzata presso l’Istituto Giapponese di Cultura a Roma nel 2006 e curata da Stefania Severi, dal titolo Il dono del gelso ha visto opere di Anna Onesti esposte insieme a quelle di Isamu Noguchi, Nobushige Akiyama e Shuhei Matsuyama. La mostra ha viaggiato in Italia e trovato accoglienza presso il Museo della carta e della Filigrana di Fabriano e il Museo del Tessile di Busto Arsizio.
[6] https://www.lebiennali.com/la-mano-e-il-dono-del-gelso/ in questo contributo divulgativo Anna Onesti ripercorre in sintesi la storia della carta di gelso nelle civiltà orientali e non manca di accennare ai racconti che fanno riferimento alla sfera leggendaria sulla nascita della carta.
[7] Ricordo l’istallazione dal titolo Di tre colori, ideata e realizzata da Anna Onesti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. L’opera è stata allestita presso l’Istituto Centrale per la Grafica nella primavera del 2011 e prevedeva la sospensione di cinquanta lanterne verdi, cinquanta bianche e cinquanta rosse, tinte con sostanze vegetali quali reseda, guado, indaco, robbia e carbone e montate utilizzando canne di bambù e fili di cotone. La mostra ha avuto poi altre tappe presso gli Istituti Italiani di Cultura di Melbourne, Sydney e Jakarta. A questo link è possibile scaricare il pdf del breve catalogo che racconta dell’impresa artistica https://istitutocentraleperlagrafica.cultura.gov.it/wp-content/uploads/2012/09/ditrecolori.pdf. Suggestivo anche il contributo video che accompagno lo spettatore attraverso le fasi salienti dell’intero lavoro https://www.youtube.com/watch?v=4dgubeCrKgc.
[8] La mostra Racconto del mare blu si tenne a Roma presso la sede dell’Associazione TRAleVOLTE nel maggio 2015; in catalogo testi di Paolo Di Paolo e Riccardo Duranti.
[9] Anna Onesti, L’alfabeto dei semi: la carta hanji e gli aquiloni, in Hanji Yeon. La carta hanji e gli aquiloni, Catalogo della mostra, (Castello reale di Moncalieri, Torino ottobre-dicembre 2024), a cura di Riccardo Vitale, Elisabetta Silvello e KANG Donggu, organizzata dall’Istituto Culturale Coreano in Italia e Residenze reali sabaude-Direzione Musei nazionali Piemonte, s.l, 2024, p.32.
[10] Un mondo fluttuante. Opere su carta di Anna Onesti, mostra a cura di Maria Grazia Massafra e Alessia Ferraro, Musei di Villa Torlonia, Casina delle Civette, ottobre 2020 – giugno 2021, Roma https://www.youtube.com/watch?v=x0DGihll5lY.

Fig.7: Anna Onesti, Con Grazia, aquilone scudo, tinture naturali, inchiostro e collage su carta coreana hanji prodotta dal maestro cartaio Jang Sung Woo, stecche di bambù e fili di cotone, cm 110X80, mostra Hanji Yon.La carta hanji e gli aquiloni, esposizione delle opere dell’artista per i 140 anni delle relazioni diplomatiche Italia Corea, Castello di Moncalieri Torino (2024). 
Foto: Franco Caniatti