Fig.1 Riccardo Ajossa

Uno sguardo sull’opera di Riccardo Ajossa
di Marika Beccaloni
L’impressione è di galleggiare sul pelo di una superficie liquida, con attorno un’atmosfera silenziosa da cui deriva una grande serenità. Gli esercizi di documentazione land artistica del paesaggio, grazie ai quali ho conosciuto l’impegno artistico di Riccardo Ajossa, hanno il potere di sollecitare in modo vario e profondo le sensibilità percettive dell’osservatore.[1] Possiedono un che di ipnotico i colori che l’artista modula senza forzatura sulla superficie della carta Hanji da lui stesso prodotta seguendo tecniche e stili della tradizione orientale. I colori che l’artista ottiene, anche al fine di articolare una sorta di archivio universale dello spazio naturale indagato, sono magnificenti e sontuosi e riferiscono di quell’abilità che Roberto Longhi riconosceva solo agli artisti, ai pittori, la capacità di entrare in contatto con la luce. Riccardo Ajossa si è fatto promotore di un fare artistico che conserva con consapevolezza la componente scientifica del mestiere, nella sua ricerca infatti l’approccio meditativo, progettuale, concettuale e gestuale hanno pari valore, peso e ruolo e si accompagnano in un percorso equilibrato con il sapere scientifico (fig.1).

Fig.2 Riccardo Ajossa e la produzione della carta Hanji

Fig.3 Riccardo Ajossa, saggi di prova dei colori estratti dalla natura
Gli esercizi di colore
“Le mie opere divengono “belle” non perché io abbia l’ambizione di definirle tali in modo assoluto, ma perché sono il risultato dell’incontro e della reazione spontanea di elementi estratti dalla natura. E questi elementi sono “belli” di per sé. Io mi faccio mediatore del loro incontro: guido senza intervenire con eccessive forzature, agisco rispettandoli”. Potrei sintetizzare in queste poche righe il ruolo che Riccardo si attribuisce nel percorso di ricerca e produzione artistica: egli si fa consapevole mediatore tra elementi esistenti in natura e aventi una loro autonomia estetica, il suo compito è porsi nel mezzo e contribuire ad una loro alternativa rivelazione (fig.2). Approfondiamo insieme le declinazioni sottili che assume il linguaggio dell’artista attraverso la lettura degli Esercizi di colore, un gruppo di opere modulate dalle mani di Riccardo per concedere a noi osservatori l’occasione di attribuire significato e anche forma altra ad una collezione di opere già esistente in natura. Quella collezione d’arte è la porzione di paesaggio nella quale Riccardo Ajossa è chiamato ad agire[2] o nella quale sceglie di operare. Il catalogo si presenta mutevole, composto da una combinazione sempre varia di essenze botaniche presenti in natura e che si manifestano in modo variabile perché la loro crescita, i loro colori, il loro grado di fioritura è soggetto alle stagioni e all’impatto che l’agire umano sia nel breve che nel lunghissimo corso ha su quel brano di spazio naturale isolato dall’artista. Durante l’incontro con Riccardo uno dei momenti descrittivi più intensi consiste nell’esplicitare l’atto intellettuale che accompagna ogni suo intervento nel paesaggio: il superamento di una barriera interposta tra i soggetti coinvolti, tra il paesaggio con la sua collezione di opere in natura e l’artista. “Io entro nel paesaggio e agisco in esso superando il cavalletto, mi approprio della stessa dimensione del soggetto, mi muovo in essa e con l’atto fisico del raccogliere bacche, selezionare erbe e cortecce avvio un processo che trasporta a poco a poco il paesaggio nella dimensione scientifica. Il mio compito è estrarre la linfa di ogni essenza, ricavare il colore sperimentando certo ma anche adottando ricette rinascimentali, quindi ricette certe, esatte, e poi far incontrare la carta e il colore”. E ancora “Il colore naturale è già nel paesaggio, ma si presenta integrato negli elementi che lo contengono, quindi non risulta immediato distinguerlo. Con il processo che porto avanti e che consiste nell’estrazione del colore dalla natura e la sua conseguente elaborazione in laboratorio attraverso la mia ricerca e le mie ricette, ho l’ambizione per me stesso e per chi fruisce di quel paesaggio o lo abita di fare nuova esperienza del paesaggio proprio attraverso il colore” (fig.3).
Gli Esercizi di colore si manifestano come palinsesti, superfici verticali sulle quali le campiture di colore assumono forme astratte in apparente movimento; questa suggestione del lento spostamento del colore, che pare di scorgere ancora allo stato liquido, è amplificata dalle trame disegnate in trasparenza dalle fibre delle cortecce tra loro sovrapposte, intrecciate o accostate. La somma tra la fibra della carta e il colore non ha nulla di programmato: gli imprevedibili accadimenti al momento dell’estrazione del colore, quindi i passaggi di spremitura, bollitura e fissaggio si sommano ad altre fasi del processo in cui l’artista può solo attendere e assistere al consolidarsi del risultato naturale, Riccardo sovrintende a quanto accade in modo attento, con garbo e con l’essenzialità di gesto che caratterizza la prassi dell’artista.

Fig.4 Riccardo Ajossa, Esercizi di colore, carta hanji e pigmenti organici, opere esposte nelle sale della galleria romana Spazio Nuovo

L’esperienza sempre diversa e unica che determina l’assorbimento dei pigmenti sulla carta dopo l’asciugatura al sole delle opere, restituisce le sagome di venature specchiate che si ramificano e si moltiplicano. Da me sollecitato sul disegno casuale prodotto dalla specchiatura Riccardo si esprime con queste parole: “sostituisco il pennello con la piega. Mi piace piegare, immergere e attendere il risultato. Mi piace di più la parte gestuale del lavoro: dalla gestualità che si alterna per favorire l’intreccio delle fibre nei passaggi che si susseguono per la produzione della carta fino alla gestualità richiesta per la produzione del colore. Questo incontro tra fibre e colore lo amplifico attraverso un altro gesto, quello della piegatura. Le piegature creano un canale di raccordo per il colore.” Ogni foglio, capace di raggiungere, stando alle sperimentazioni odierne, anche le dimensioni ragguardevoli di 200x200 cm, è un’opera autonoma che può essere osservata e analizzata a parte, come risultato isolato del processo di mappatura sul paesaggio e studio delle essenze botaniche oppure può essere accostata ad altre prove di colore nel tentativo di inquadrare complessivamente l’intero ecosistema botanico distillato dall’artista. Riccardo Ajossa fissa nella carta Hanji quella che chiama “una traccia di paesaggio”, come una filigrana il paesaggio, nella sua complessità di sfumature, si imprime nella carta e si rivela attraverso la gentile manipolazione dell’artista (fig. 4).
Frammenti tratti dagli Esercizi di colore sono impiegati dall’artista anche per avviare un dialogo con stampe e fotografie al fine di produrre nuove opere; menziono a tal proposito Paesaggi di fine estate: in questo gruppo di opere, in cui si passa in rassegna la varietà cromatica del colore estratto dal sambuco, gli esercizi di colore vengono sovrapposti a fotografie nelle quali è sempre il paesaggio, presentato come idilliaco, a dominare come soggetto esclusivo.[3] Accanto alla fotografia le tracce degli esercizi di colore si collocano come completamento di una linea che si sostituisce all’orizzonte o come riflessi trasfigurati in cui immaginare i contorni dei singoli elementi che compongono uno spazio naturale. Potrei definirli dei collage che si appropriano della matericità del colore e della trasparenza della carta coreana per offrire echi di paesaggi in cui l’immaginazione o la conoscenza storico-artistica dell’osservatore viene sollecitata e chiamata a partecipare ad un gioco fatto di allusioni e commistioni multiple (fig.5).

Fig.5 Riccardo Ajossa, Prove di colore assoluto, carta abaca, watermark, tintura naturale, vecchia stampa

Fig. 6 Riccardo Ajossa, Prova 7, pagine tratte da Prove di colore naturale, inverno 2015

Della Land Art resta forte nella prassi di Riccardo l’atto di manipolazione: l’artista entra nel paesaggio, lo studia e vi agisce alterandolo attraverso la selezione e la raccolta delle essenze botaniche. Questo intervento di alterazione non si impone come ferita, al contrario il passaggio dell’artista si distingue come un intervento di manipolazione compiuto con coscienza e responsabilità, con viva consapevolezza di cosa significhi agire sostenibilmente entro un ecosistema fragile che ci contiene e a cui apparteniamo. L’atto dell’artista si afferma come gesto essenziale, un gesto reversibile nell’ambiente e potenzialmente duraturo nell’opera che diviene sintesi astratta di uomo e natura.
È altresì interessante notare che nella pratica di Riccardo Ajossa si manifesta una componente che negli anni Sessanta la critica ostile alla Land Art definì pittoresca e romantica.[4] Riccardo rivendica la componente romantica e malinconica della sua pratica, egli infatti sostiene che nel suo lavoro ha un peso decisivo la transitorietà degli elementi, l’artista lavora confrontandosi col paesaggio sapendo che il risultato che otterrà non sarà replicabile, è fugace il momento della sua azione e con esso anche il risultato raggiunto. Per riportare le esatte parole di Riccardo, le sue opere diventano potenziali “fotografie di un tempo in transizione”. Eppure, e questo sì che si impone come apparente paradosso, l’opera, per mezzo dell’artista-scienziato, aspira all’eternità affidandosi alle qualità di resistenza della carta scelta con estrema cura e consapevolezza o realizzata artigianalmente dall’artista stesso proprio con l’ambizione di sfidare il tempo e il naturale processo di invecchiamento e deterioramento del supporto.​​​​​​​

Fig.7 Riccardo Ajossa, Pagine tratte dai quaderni Prove di colore naturale

Libri o registri d’artista
Il tentativo di rendere eterna l’opera o estendere la durata degli esiti del processo transitorio dell’agire artistico è un concetto davvero dirimente nell’opera di Ajossa. Risulta chiaro che per l’artista oltrepassare la finitezza come componente irrinunciabile delle opere e delle performance di Land Art equivalga, in parte, a sottrarre l’opera stessa ai criteri di ragionamento e valutazione estetica che il fenomeno Land induce ad utilizzare. Trovo pertanto utilissimo ai fini della nostra veloce lettura intorno all’opera di Riccardo, mettere in continuità questa osservazione con la produzione dei suoi libri d’artista; i libri sono immaginati sia come archivi cartacei per la catalogazione della parte scientifica del lavoro sia come pagine singole che hanno registrato sfumature emotive, fornendo all’artista lo sviluppo lento di un archivio privato connesso, almeno in un caso, ad un evento specifico di vita privata. Dall’osservazione delle pagine dei libri d’artista di Riccardo Ajossa emerge una tratto unico e fondamentale: archiviare, sovrapporre i campioni di colore, accostare i frammenti di carte prodotte per facilitarne lo studio o l’inserimento negli strati del foglio di piccoli oggetti recuperati da un contesto caro all’artista, carica queste opere del ruolo primigenio che il libro possiede: il libro mantiene il suo ruolo ambizioso di testimone, destinato a conservare in perpetuo una volontà che si è tradotta da memoria personale a memoria condivisa nel momento in cui ha scelto la pagina per conservarsi (fig.6 e 7). I libri d’artista di Riccardo mi hanno ricordato le pagine dei diari e dei taccuini romani di Francesca Woodman, artista che ammiro e la cui opera si manifesta mutevole e dunque sfuggente ad ogni rinnovata lettura. Anche Riccardo come Woodman cerca pagine già scritte da altri, pagine che hanno già assorbito dell’inchiostro, pagine che trattengono informazioni lontane. Logori registri scolastici, quaderni ingialliti dal tempo o registri contabili mangiati dall’umidità divengono superfici rinnovate per l’archiviazione di nuovi dati di studio e ricerca; per l’autore quei registri mantengono il fascino di libri lontani dei quali rinnova funzione e significato in un altro contesto. Quaderni di colore naturale, Prove di colore, Carnet de voyage, Studio di colori naturali: sono questi i titoli che l’artista sceglie per classificare i libri d’artista compilati e assemblati ai fini della ricerca, titoli che attingono ad un lessico scientifico, che richiama la metodica del lavoro ancora nella sua fase sperimentale ed evolutiva. Così si definiscono gli spazi espressivi di Riccardo Ajossa, spazi aventi i limiti della pagina come confini entro i quali inserire con equilibrio “appunti, studi, considerazioni e viaggi”.
Osserviamo a tale proposito gli appunti e i saggi di colore che trovano spazio tra le pagine di Prove di colore per la ricerca sulla Prudenza di Tiziano e che mostrano come l’artista testa e declina il colore rosso lasciandosi accompagnare dalle tele di Tiziano e dalla simbologia che esso ha assunto nella storia dell’arte; lo stesso saggio di colore prosegue la sua evoluzione nelle ricette sperimentate dall’artista e testimoniate nelle pagine seguenti nelle quali il colore dialoga con cartoline vintage che ritraggono brani di paesaggio, in cui l’acqua o il monte è l’elemento sempre presente proprio come nei paesaggi del primo Tiziano. Dal punto di vista architettonico queste pagine seguono uno schema intimo, personale, codificato dall’artista solo per sé stesso, ma è indubbio che, negli anfratti di quegli appunti tecnici e delle allusioni pilotate dal libero agire dell’artista e del suo museo interiore, anche la mente del curioso osservatore ha la possibilità di spaziare e viaggiare e ancora di arricchire di inediti scorci il proprio museo immaginato.
Riccardo mi racconta poi di un altro libro d’artista da lui realizzato giorno dopo giorno, seguendo il flusso di un evento che ha turbato la sua dimensione privata e che lo ha costretto a percepire il passaggio del tempo in modo diverso, “quasi rassegnato”, mi dice. Il libro si intitola Il libro del silenzio (fig.8), le sue pagine, di grandi dimensioni (30x40 cm), sono sciolte come libere da vincoli. A questa libertà di forma del volume corrisponde la costrizione di un oggetto, scelto come soggetto della pagina, e presentato come parte di essa perché integrato nelle fibre stesse della carta e isolato nel bianco della superfice. Gli oggetti sono ben riconoscibili, ma appaiono comunque velati, come spesso i ricordi fragili o che manipoliamo perché ci colgono in momenti di precarietà emotiva. “Questo libro mi ha concesso di registrare il tempo di un fenomeno” afferma Riccardo e prosegue dicendo “ho cercato di farmi amico il tempo, registrandolo attraverso la raccolta di piccoli oggetti trovati intorno a me”; nell’impresa artistica torna nuovamente il tema della registrazione, della catalogazione, dello schedare un fenomeno o un luogo, e con essi le sensazioni dell’artista che vi agisce all’interno. Anche in questo caso i libri d’artista di Riccardo Ajossa non sono esclusivamente opere d’arte, ma si presentano per il ruolo concreto che i libri di tradizione hanno: essere testimoni.

Fig. 8 Riccardo Ajossa, Il libro del silenzio, dettaglio, carta fatta a mano con oggetti in filigrana, 2011

Artista e scienziato
Un passaggio chiave necessario da approfondire intorno al percorso di Riccardo Ajossa riguarda la centralità della sperimentazione scientifica: studiare la chimica degli elementi che incontra nel suo percorso si rivela fondamentale. Mi viene dunque naturale sapere da lui in che equilibrio lo scienziato convive con l’artista: “vorrei essere molto più esperto ed estendere le mie competenze scientifiche, che pure possiedo in buona dose per poter fare quello che da moltissimi anni realizzo, ma inevitabilmente la componente creativa supera l’altra”.
Riccardo Ajossa, raccontando di sé e del suo ventennale percorso artistico, conclude di sentirsi un privilegiato perché ha la possibilità di essere compiutamente un artista e insieme di trasferire visione e metodo grazie alla didattica. A tal riguardo mi cita brevemente il complesso percorso di studio e ricerca, ogni anno diverso, che propone ai suoi studenti; Riccardo è infatti docente di Tecnologie della carta presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, la prima Accademia in Italia ad avere un insegnamento interamente dedicato alla storia, alla produzione e all’impiego della carta per fini artistici. Accanto a tale primato, che per l’artista è sana ragione di orgoglio, Riccardo esplicita il suo più profondo interesse: “questo insegnamento è davvero fondamentale perché mi consente di tramandare ai giovani artisti il concetto di consapevolezza. Per un artista è importante sapere cosa utilizza, quali materiali e supporti scegliere e – perché no? – come produrli in autonomia, eventualmente”. Quello che Riccardo Ajossa fa lo trasferisce nell’insegnamento, la cura per l’approfondimento di temi complessi appartiene al suo fare artistico e quella complessità la racconta, la insegna e la tramanda in aula.
Riccardo Ajossa ha scelto una strada complessa: studiare la carta e impiegarla come medium totale della sua pratica, ciò ha significato studiarla attraversando le differenze antropologiche che essa assume nelle diverse culture e imparare a farla. In virtù di questo approccio completo e complesso, che ha condotto l’artista ad intrecciare i saperi di due culture grazie all’intuizione di dedicarsi alla produzione di carta orientale con le metodologie occidentali, Riccardo è stato scelto di concerto dall’Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia e dall’Istituto di cultura coreano in Italia per condurre un progetto di ricerca universitario a Seul volto ad approfondire la conoscenza delle tecniche di produzione della carta Hanji. La conoscenza della carta orientale non si esaurisce all’interno del sodalizio con le istituzioni coreane, l’artista ha infatti viaggiato per studio, ricerca e lavoro anche in Cina e in Giappone, qui è intervenuto sul campo avviando un progetto di ricerca ancora in corso e volto alla mappatura delle cartiere presso le regioni di Yamanashi e Saitama (fig. 9)
Tra le esperienze e i riconoscimenti più prestigiosi, capaci di rappresentare in modo sintetico il lungo e devoto lavoro di Riccardo attorno alla produzione della carta, ricordo la masterclass Segni d’acqua, la carta e le sue tradizioni tenuta da Riccardo Ajossa presso Ca’ de Giustinian in occasione della Biennale di Venezia del 2011. Un momento di conoscenza e riflessione che intendeva portare al centro del dibattito l’importanza della tecnica nella prassi artistica e segnalare al pubblico la centralità del sapere scientifico nel mestiere dell’artista. Scopo della master class era segnalare che “l’artista deve ricominciare a saper fare qualcosa. L’arte postmoderna è tanto interiorizzata, ha messo al centro l’artista e chiesto al pubblico di essere troppo preparato anche oltre le sue effettive possibilità. Da questo ragionamento, anche pretestuoso, nasce però la volontà di ricondurre ad un processo cadenzato, studiato, meditato in cui contasse non tanto il risultato e l’opera ma il percorso, il processo.”
Fig.9 Riccardo Ajossa, Appunti presi in cartiera a Saitama, Giappone
Fig.10 Riccardo Ajossa, L’ingannevole congegno della memoria, riflessi sulla sabbia umida, fotografia digitale, Sagres, Portogallo 2016
Ritorno ai doppi
Il tema ricorrente della specchiatura, del doppio, del riflesso e della superficie liquida in movimento torna nell’indagine artistica di Riccardo Ajossa con L’ingannevole congegno della memoria[5]. Il titolo fa riferimento ad un gruppo di opere a cui Riccardo lavora nel 2017 a partire da una suggestione percepita ed esplorata durante un viaggio. Era il 2016 e Riccardo stava lavorando ad una ricerca su Tiziano e sulla Prudenza, parte per l’Algarve e porta con sé macchina fotografica, libri e stampe a colori riproduzioni delle opere del pittore veneto per proseguire il suo studio; in un momento di relax trascorso in spiaggia le sagome dei bagnanti attorno si rivelano immagini specchiate sul pelo dell’acqua lasciata dalla bassa marea (fig.10). Di qui l’ingegnosa intuizione di collocare le riproduzioni delle opere nella sabbia e fotografarne il riflesso. Dietro questa operazione, in sé semplice ed immediata, si cela un altro modo, familiare agli Esercizi di colore, di eternizzare l’attimo che ha lasciato la sua vibrazione unica e irripetibile nel riflesso dell’immagine sul pelo dell’acqua. L’artista è nuovamente mediatore del processo e testimone del suo accadimento: con lo scatto della fotografia Riccardo registra l’attimo in cui gli elementi naturali, luce e acqua, hanno concorso a doppiare l’immagine in modo irripetibile. Ancora si torna al tema della memoria, di una vibrazione conservata con l’etica dell’archivista, servendosi del magico concorso della natura e della combinazione dei suoi elementi, dei suoi ritmi e dei suoi silenziosi e impercettibili eventi.
[1] Riccardo Ajossa nasce a Roma e studia pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, attualmente è docente ordinario di prima fascia di Tecnologie della carta presso la stessa Accademia. Ottiene come borsista la specializzazione in Paper Making presso Loughborough College of Art and Design, da studente e giovane artista consolida la sua esperienza di studio viaggiando in Europa e negli Stati Uniti. Ha affiancato per anni Laura Salvi, dalla quale eredita il laboratorio di tecnologie della carta in Accademia; sceglie di votare la sua ricerca di studio alla produzione della carta di gelso e della carta Hanji (nominata anche con l’espressione 'carta dei mille anni') studiando le tecniche tradizionali orientali, questa scelta rara gli porterà supporto e patrocinio degli Istituti di cultura e delle Ambasciate dei paesi di Corea e Giappone che continuano a sostenere la sua ricerca artistica. Numerose le mostre personali e collettive, altrettanto ricco il bagaglio delle residenze artistiche compiute in Italia e all’estero dal 2004 ad oggi, come gli impegni in qualità di visiting professor presso l’Accademia di Marmara ad Istanbul, a Leibniz, presso la FBAUL di Lisbona e l’Accademia di Belle Arti di Budapest. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private sia italiane che estere, attualmente è rappresentato dalla galleria Spazio Nuovo di Roma. Per una completa biografia dell’artista e un dettagliato resoconto del suo curriculum studiorum si rimanda al sito personale www.riccardoajossa.com.
[2] A tale proposito si ricorda la residenza artistica del settembre 2022 tra la Franciacorta e le rive del Lago d’Iseo, in questa occasione l’artista è stato chiamato a modellare il suo lavoro su un paesaggio a lui sconosciuto. Per mezzo dello studio del paesaggio, della raccolta e della catalogazione delle piante autoctone Riccardo ha restituito alla comunità che abita quei luoghi una percezione di esso. La prima parte del progetto ha previsto la raccolta di bacche e piante autoctone locali e la successiva estrazione dei pigmenti al fine di ottenere delle carte che offrano una mappatura dei colori dei luoghi. La seconda parte del progetto è consistita nell’immergere le riproduzioni fotografiche delle opere di artisti bresciani e bergamaschi, presenti in diverse collezioni locali, nelle acque del lago d’Iseo per fotografarne i riflessi sull’acqua e cogliere.
Gli esiti della residenza sono stati oggetto di due mostre svoltesi contemporaneamente tra aprile e maggio 2023 e accolte nel territorio Bresciano, la prima presso la Biblioteca Queriniana dove si imposero protagonisti gli studi dell’artista insieme alle prove di colore, ai diari e agli appunti sui composti chimici e la seconda presso gli spazi del C.AR.M.E. L’intera esperienza è stata resa possibile grazie al patrocinio del Comune di Brescia, dell’Accademia di Belle Arti di Roma, dell’Ambasciata Coreana in Italia, dell’Istituto Coreano di Cultura, del Ministero della Cultura, dello sport e del turismo (Corea). Ogni tappa della residenza e delle mostre qui indicate può essere ripercorsa per mezzo del racconto critico di Maddalena Carnaghi in Connaturata. Riccardo Ajossa, catalogo della mostra (Brescia 2023) a cura di Maddalena Carnaghi, Roccafranca (Brescia) 2023.
[3] https://www.riccardoajossa.com/paesaggi-fine-estate/ si rinvia a questo capitolo del sito personale dell’artista per una visione completa delle opere Paesaggi di fine estate.
[4] S. Tillim, Earthworks and the New Pictoresque, Artforum 7, dicembre 1968.
[5] Connaturata, cat. cit., p. 22 qui si spiega e si analizza, per mezzo di una trascrizione delle parole esatte di Riccardo in conversazione con la curatrice, la scelta del titolo L’ingannevole congegno della memoria, espressione presa in prestito dal libro Paesaggi notturni di Gianrico Carofiglio.
*Tutte le immagini che completano il presente articolo sono state gentilmente concesse dall’artista Riccardo Ajossa. Settembre 2025