Libri o registri d’artista
Il tentativo di rendere eterna l’opera o estendere la durata degli esiti del processo transitorio dell’agire artistico è un concetto davvero dirimente nell’opera di Ajossa. Risulta chiaro che per l’artista oltrepassare la finitezza come componente irrinunciabile delle opere e delle performance di Land Art equivalga, in parte, a sottrarre l’opera stessa ai criteri di ragionamento e valutazione estetica che il fenomeno Land induce ad utilizzare. Trovo pertanto utilissimo ai fini della nostra veloce lettura intorno all’opera di Riccardo, mettere in continuità questa osservazione con la produzione dei suoi libri d’artista; i libri sono immaginati sia come archivi cartacei per la catalogazione della parte scientifica del lavoro sia come pagine singole che hanno registrato sfumature emotive, fornendo all’artista lo sviluppo lento di un archivio privato connesso, almeno in un caso, ad un evento specifico di vita privata. Dall’osservazione delle pagine dei libri d’artista di Riccardo Ajossa emerge una tratto unico e fondamentale: archiviare, sovrapporre i campioni di colore, accostare i frammenti di carte prodotte per facilitarne lo studio o l’inserimento negli strati del foglio di piccoli oggetti recuperati da un contesto caro all’artista, carica queste opere del ruolo primigenio che il libro possiede: il libro mantiene il suo ruolo ambizioso di testimone, destinato a conservare in perpetuo una volontà che si è tradotta da memoria personale a memoria condivisa nel momento in cui ha scelto la pagina per conservarsi (fig.6 e 7). I libri d’artista di Riccardo mi hanno ricordato le pagine dei diari e dei taccuini romani di Francesca Woodman, artista che ammiro e la cui opera si manifesta mutevole e dunque sfuggente ad ogni rinnovata lettura. Anche Riccardo come Woodman cerca pagine già scritte da altri, pagine che hanno già assorbito dell’inchiostro, pagine che trattengono informazioni lontane. Logori registri scolastici, quaderni ingialliti dal tempo o registri contabili mangiati dall’umidità divengono superfici rinnovate per l’archiviazione di nuovi dati di studio e ricerca; per l’autore quei registri mantengono il fascino di libri lontani dei quali rinnova funzione e significato in un altro contesto. Quaderni di colore naturale, Prove di colore, Carnet de voyage, Studio di colori naturali: sono questi i titoli che l’artista sceglie per classificare i libri d’artista compilati e assemblati ai fini della ricerca, titoli che attingono ad un lessico scientifico, che richiama la metodica del lavoro ancora nella sua fase sperimentale ed evolutiva. Così si definiscono gli spazi espressivi di Riccardo Ajossa, spazi aventi i limiti della pagina come confini entro i quali inserire con equilibrio “appunti, studi, considerazioni e viaggi”.
Osserviamo a tale proposito gli appunti e i saggi di colore che trovano spazio tra le pagine di Prove di colore per la ricerca sulla Prudenza di Tiziano e che mostrano come l’artista testa e declina il colore rosso lasciandosi accompagnare dalle tele di Tiziano e dalla simbologia che esso ha assunto nella storia dell’arte; lo stesso saggio di colore prosegue la sua evoluzione nelle ricette sperimentate dall’artista e testimoniate nelle pagine seguenti nelle quali il colore dialoga con cartoline vintage che ritraggono brani di paesaggio, in cui l’acqua o il monte è l’elemento sempre presente proprio come nei paesaggi del primo Tiziano. Dal punto di vista architettonico queste pagine seguono uno schema intimo, personale, codificato dall’artista solo per sé stesso, ma è indubbio che, negli anfratti di quegli appunti tecnici e delle allusioni pilotate dal libero agire dell’artista e del suo museo interiore, anche la mente del curioso osservatore ha la possibilità di spaziare e viaggiare e ancora di arricchire di inediti scorci il proprio museo immaginato.
Riccardo mi racconta poi di un altro libro d’artista da lui realizzato giorno dopo giorno, seguendo il flusso di un evento che ha turbato la sua dimensione privata e che lo ha costretto a percepire il passaggio del tempo in modo diverso, “quasi rassegnato”, mi dice. Il libro si intitola Il libro del silenzio (fig.8), le sue pagine, di grandi dimensioni (30x40 cm), sono sciolte come libere da vincoli. A questa libertà di forma del volume corrisponde la costrizione di un oggetto, scelto come soggetto della pagina, e presentato come parte di essa perché integrato nelle fibre stesse della carta e isolato nel bianco della superfice. Gli oggetti sono ben riconoscibili, ma appaiono comunque velati, come spesso i ricordi fragili o che manipoliamo perché ci colgono in momenti di precarietà emotiva. “Questo libro mi ha concesso di registrare il tempo di un fenomeno” afferma Riccardo e prosegue dicendo “ho cercato di farmi amico il tempo, registrandolo attraverso la raccolta di piccoli oggetti trovati intorno a me”; nell’impresa artistica torna nuovamente il tema della registrazione, della catalogazione, dello schedare un fenomeno o un luogo, e con essi le sensazioni dell’artista che vi agisce all’interno. Anche in questo caso i libri d’artista di Riccardo Ajossa non sono esclusivamente opere d’arte, ma si presentano per il ruolo concreto che i libri di tradizione hanno: essere testimoni.